Questa volta
Steve Yegge, ingegnere di punta in casa
BigG, l’ha fatta grossa. Si è sbagliato a usare le
Cerchia di
Google+ e ha pubblicato un post, originariamente pensato per stimolare la
discussione esclusivamente all’interno del suo gruppo di lavoro, nel suo
profilo pubblico, rendendolo in questo modo visibile ad amici e
conoscenti. Il problema è che il post in questione non parla di
appuntamenti di lavoro o della qualità del cibo della mensa, ma dello
stesso Google+. E i toni usati dal giovane ingegnere per descrivere il
nuovo social network targato BigG sono tutt’altro che entusiastici: un
elenco di critiche che non devono aver fatto piacere ai vertici di
Mountain View. Ovviamente è stato subito
rimosso dalla pagina di Yegge (che ha cercato di metterci una pezza) ma,
altrettanto ovviamente, ne esistono copie sparse ovunque sul Web.
Al di là della figuraccia, il post ha stimolato una ricca discussione in Rete e qualcuno ha giudicato le sue riflessioni “
il miglior articolo mai letto sull’architettura e la gestione dell’IT”. Ma cosa ha detto esattamente Yegge? In due parole: che ciò che conta nel mondo virtuale non sono i
prodotti ma le
piattaforme, e Google+ non ne ha una che valga la pena di essere chiamata tale.
Ecco qualche stralcio del post: “
Google+ è l’esempio del nostro totale fallimento nel comprendere
l’importanza delle piattaforme, dai piani alti del potere agli ultimi
anelli della catena lavorativa. Nessuno di noi è stato in grado di
capirlo. La regola d’oro delle piattaforme è che «Eat your own dog food» (un modo di dire delle società che significa usare i propri prodotti, ndr.).
In questo senso, la piattaforma di Google+ è un tentativo patetico”. E ancora: “
Google+ è un progetto pensato senza lungimiranza, nato sull’errata
convinzione che Facebook ha successo perché è un grande prodotto. Ma
questo non è vero. Facebook ha successo perché si è saputo costruire
attorno tutta una costellazione di prodotti”.
Insomma, secondo Yegge un
prodotto, per quanto buono possa essere, non è nulla senza una
piattaforma a supporto. O, meglio, sarà presto sostituito da
qualcosa di altrettanto valido dotato di una propria piattaforma. Ecco
perché l’ingegnere parla di Google+ come di un progetto che non ha
futuro.
Come
commenta Tim Carmody su
Wired.com, BigG sembra andare controcorrente rispetto al mondo
informatico: se Facebook aveva un prodotto e ci ha costruito attorno una
piattaforma, Google ha una piattaforma e la sta trasformando in un
prodotto. Ma in questo modo il prodotto stesso perde potenza,
efficienza, appetibilità. Mentre per guadagnare punti dovrebbe dotarsi
di piattaforme esterne su cui utenti e sviluppatori possano mettere le
mani.
“
Il problema è che ci arroghiamo il diritto di prevedere ciò che la gente vuole e offriamo loro un prodotto già confezionato - ha scritto ancora Yegge -
ma così non funziona. Ci sono state solo poche persone al mondo capaci di farlo, e Steve Jobs era uno di quelli.
Noi non abbiamo uno Steve Jobs qui. Mi spiace dirlo ma è così
”. Il senso del discorso di Yegge è chiaro: Google non può arrogarsi il
diritto di sapere ciò che le persone vogliono e offrire loro un prodotto
già bello e finito, senza possibilità di poterlo implementare. Ma il
problema alla radice, continua Yegge, è che BigG è una compagnia che da
sempre vende prodotti: belli, appetibili, funzionali, ma pur sempre
prodotti. E per fare qualcosa di veramente grande c’è bisogno di
cambiare modo di pensare, una
rivoluzione culturale in seno alla società. Chissà se quelli di
Mountain View ascolteranno gli involontari consigli, o preferiranno far
finta di niente.
FONTE: WIRED.IT