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MessaggioTitolo: Shooting Star   Shooting Star Icon_minitimeVen Feb 04, 2011 5:12 pm

Saaaaaaaalve fratelli.
Dunque sono una principiante, e ci ho messo un po' prima di decidere di postare qualcosa, ma se lo considererete bimbominchioso, amen.
Buhauhauh
Beh, bye bye.
Andreea :D

Shooting Star


Una nuova giornata autunnale imperversava sulla metropoli newyorkese. Da un' imponente quercia cadevano gialle foglie, scosse da un vento gelido, lente, inesorabili ed inermi, scendevano, fino a toccare la terra, che le accoglieva amorevolmente, lasciandole riposare. Così, sul balcone di fronte a quell'enorme quercia, calde lacrime scendevano dal viso di una giovane diciottenne. Judith era accovacciata sul pavimento di cotto sbiadito, un tempo di un acceso color salmone, con la testa tra le gambe e con la mano cercava di massaggiarsi la caviglia destra, nella vana speranza di non sentirne più l' acuto dolore.
Non poteva capitarle questo proprio il giorno prima dell' audizione, diamine, pensò. Sapeva che non era una semplice storta. Sapeva che era qualcosa di più grave. Sapeva che un semplice impacco col ghiaccio non avrebbe risolto la situazione. Sapeva che doveva andare all' ospedale, per farsi curare. Eppure se ne stava lì, seduta, a piangere. Perché non sapeva più che fare. Perché la rabbia, la furia che provava pareva poter sfociare solo in quelle fugaci, ma continue lacrime. E per quanto stesse implorando il suo cervello di smettere di mandarle quelle sensazioni negative, questo non accennava minimamente a smettere, e in fondo perché avrebbe dovuto farlo. Tutto ciò che più contava su questo mondo per lei era ballare. E come diavolo avrebbe fatto con la caviglia in quelle condizioni? Alzò un attimo lo sguardo verso il cielo. Era nero. Grandi nuvole grigie e che non sembravano aver l'aria di essere passeggere, continuavano a ostacolare l'azzurro del cielo. Proprio mentre abbassava di nuovo lo sguardo a terra, una goccia saettò sul suo viso, e non poteva certo essere una delle sue tante lacrime. Perfetto, solo la pioggia mancava, pensò, irritata. Eppure, non aveva alcuna voglia di alzarsi. Preferiva stare lì a piangersi addosso, almeno per una volta poteva concederselo. Così, una lenta pioggerella iniziò a scendere, bagnandola completamente. Oltre al danno, pure la beffa, pensò sarcastica. Ma di nuovo, non ebbe la minima intenzione di alzarsi, era come se le forze l'avessero abbandonata, come se non ci fosse più motivo per combattere, l'unica cosa per cui si era davvero battuta per otto anni interi, adesso sembrava non contare più, dato che, la sua occasione l'aveva sprecata con quella maledetta storta alla caviglia. E di certo non poteva ballare così. Eppure lei era sempre stata una ragazza forte diamine. Non piangeva mai, affrontava le situazioni di petto, trovava la forza di rialzarsi anche quando tutto sembrava perduto. E adesso? Cosa le succedeva? Perché non riusciva a fare niente di tutto ciò. Forse perché era sempre stata fredda, distaccata, ed adesso non c'era nessuno a dirle che tutto sarebbe andato bene, che avrebbero trovato un modo per risolvere la questione. Nessuno, eccetto lei.


* * *
Jordan sbuffò rumorosamente, lasciando cadere la sua borsa sul letto, e buttandocisi sopra. Due giorni. Mancavano solamente due giorni alla sua audizione, ed era preoccupato diamine. Cosa avrebbe eseguito? Il pianoforte era tutto per lui. Lui doveva passare l'audizione. Lui doveva entrare alla Juilliard. Era tutto ciò che desiderava da otto anni a quella parte. Eppure adesso, mille paure lo invadevano, come se fosse una ragazzina al suo primo appuntamento. Rivolse uno sguardo fuori dalla vetrata della sua stanza. Pioveva a dirotto. Si alzò e scostò la tenda. Amava la pioggia. Gli faceva venire l'ispirazione. Guardò il suo pianoforte, ma non provò nessun impulso irrefrenabile di suonarlo. Con decisione, aprì la vetrata che portava fuori al balcone, e vi si appoggiò, gustandosi le fredde goccioline che avevano cominciato a bagnargli i vestiti. Poco gli importava, si sarebbe cambiato dopo. Fece un profondo respiro, assaporando quell'aria fresca che gli entrava nei polmoni, non come quella piena di smog della città, che respirava ogni santo giorno.
Tutto ad un tratto udì un debole rumore provenire dal balcone adiacente al suo. Ovviamente il suo pensiero corse a Judith, e con un movimento involontario,si sporse per vedere cosa poteva essere. Impallidì, vedendo la ragazza dai lunghi capelli corvini, accovacciata al suolo, che piangeva a dirotto, scossa dai singhiozzi continui, mentre continuava a tenersi una caviglia. Cosa diavolo le succedeva? Solo una volta l'aveva vista piangere. Solo quella volta. Da allora mai più. Ciò poteva significare solo che qualcosa di grave era successo. Non ci pensò due volte, e con un' abilità che non pensava avere scavalcò il piccolo muretto che separava le loro abitazioni. Quante volte l'aveva fatto quand'era piccolo. Ma ormai erano otto anni che non poteva più permetterselo. Si avvicinò a piccoli passi a lei, ma Judith non parve neanche sentirlo, tanto era persa nei meandri della sua mente. Un' ulteriore singhiozzo scosse la bruna, e a quel punto non ci vide più. Percorse la distanza che gli rimaneva con due grandi passi, e avvolse la ragazza in un caldo abbraccio rassicurante.
"Jud ti prego non piangere. Ti prego" la supplicò. Lei era a dir poco sbalordita. Che diavolo ci faceva Jordan sul suo balcone? Perché la stava abbracciando? E perché l'aveva chiamata con il suo vecchio soprannome? Jordan. Il suo Jo. Che poi tanto suo non era mai stato, ma aveva sempre amato definirlo così.
"Jo" sussurrò flebilmente, stringendosi a quello che un tempo era il suo migliore amico, a quello che però era tutt'ora il ragazzo che amava. Lui nell'udire la sua voce pronunciare quel nome, la strinse più forte, sentendosi finalmente completo, dopo tanto, tantissimo tempo.
"Che hai Jud? Perchè stai così?" le chiese accarezzandole la schiena. Lei rabbrividì leggermente, stringendosi ancora di più nelle sue calde braccia.
"Penso di avere una caviglia lussata, e domani ho l'audizione alla Juilliard. Accidenti, è finita Jo! Sono finita!" cominciò ad urlare sommessamente, per paura che i vicini potessero sentirla.
"Shh -le disse lui, accarezzandole i capelli- vedrai che ce la faremo, in qualche modo" concluse. Ed in quel momento, Judith non poté che fidarsi di lui. Non sapeva perché, non sapeva cosa la spingesse a fare quel gesto sconclusionato. Ma si fidava diamine. Annuì con veemenza. Jordan cercò di rialzarsi, e di far alzare anche la ragazza tra le sue braccia. Erano entrambi fradici e congelati. Continuando a stare sotto la pioggia, domani ,invece che tentare qualcosa per salvare l'audizione, sarebbero stati costretti a stare a letto con la polmonite. Judith provò ad alzarsi, ma un acuminante dolore a quella stramaledetissima caviglia, la fece scivolare di nuovo a terra, anche se fu prontamente trattenuta dalle braccia di Jordan. Lui, con un gesto meccanico, la prese tra le braccia e la posò sul muretto, poi lo scavalcò di nuovo, tornando sul suo balcone, e riprendendo Jud in braccio, la portò in casa, richiudendosi la vetrata alle spalle. La poggiò a terra con delicatezza, cercando di non farle male alla caviglia. Lei si aggrappò ad una sedia, tremando. Come Jordan d'altronde. Stavano congelando. Infatti lui andò ad aprire l'armadio, raccattando qualche vestito asciutto con cui poter cambiarsi. Tirò fuori un pantalone ed una maglietta per lui, ed una felpa maxi per Jud. Gliela porse e lui cominciò a cambiarsi direttamente lì davanti a lei.
"Girati Jo" disse lei, autoritaria.
"Ma ti ho vista più nuda di così!" la canzonò lui. Judith arrossì vistosamente, ma gli rispose per le rime: "Sì è vero, ma all'epoca avevo 5 anni. Ora ne ho 18, quindi fammi il piacere di girarti" concluse. Lui sbuffò divertito, ma poi accontentò la ragazza, voltandosi e nascondendosi dietro un'anta aperta dell'armadio. Lei si svestì velocemente e si mise quella felpona grigia. Notò con piacere immenso che aveva il suo odore, un dolcissimo profumo di talco, che la riportò indietro di anni, facendola diventare nuovamente nostalgica dei tempi andati. A volte non sembrava avere diciott'anni ma novanta. Lui scappò in bagno, e vi ritornò subito con in mano due grossi asciugamani. Ne passò uno alla ragazza davanti a lui, mentre l'ammirava avvolta in quella felpa esageratamente grande per il suo corpo esile. Lei si asciugò i capelli in fretta, come fece anche lui. Poi con un movimento fulmineo, la riprese nelle braccia e la fece stendere sul suo lettone disfatto.
"L'ordine non è mai stato il tuo forte, Jo" disse lei, sorridendo.
"E il disordine non è mai stato il tuo, Jud" la riprese lui, ridacchiando. Recuperò il pesante piumino che era scaraventato a terra e ci coprì sia il suo corpo che quello di Judith. Poi l'avvolse di nuovo in un abbraccio caloroso, che piuttosto, assomigliava ad una morsa strangolatrice, ma a lei andava bene anche così. Finalmente qualcuno a scuoterla, a dirle che poteva farcela, era arrivato. E lei non poteva desiderare persona migliore del suo Jo. Si girò con il viso verso di lui, ed ammirò i suoi occhi color nocciola, quasi miele, che l'avevano stregata fin da bambina, e che purtroppo per lei, non avevano mai smesso di farle quell'effetto. Era come se la ipnotizzassero, e lei se ne compiaceva. Lui si perse negli occhi color ghiaccio della ragazza, che con quel temporale avevano assunto uno strano colore grigiastro, che però invece di peggiorarli, rendevano li ancor più meravigliosi. Da cosa era nato tutto quell'odio, se l'unico sentimento che provava per lei, fin da bambino, era sempre stato affetto? Affetto che poi, crescendo, si era inevitabilmente trasformato in passione, ma soprattutto in amore. Non in quel amore che si scorda dopo poco tempo, uno di quelli che non puoi tirar fuori dal cuore neanche con un piccone, neanche provando a scavare in profondità per sradicarne le radici. Semplicemente non lo puoi distruggere. E così, aveva preferito struggersi in un finto odio per otto anni di vita. E per cosa poi? Nessun motivo. Perché ora l'amava più di prima.
"Perché hai fatto questo per me Jo?" chiese lei d'un tratto.
Lui parlò senza neanche pensarci. Tanto valeva dire la verità una volta per tutte. "Perché non posso sentirti piangere. Quando ho visto come singhiozzavi, qualcosa si è rotto dentro di me..io..io..non potevo lasciarti lì" concluse imbarazzato. Lei sospirò. Voleva godersi quel momento. Non sapeva quanto avrebbe resistito quella tregua tra loro, e voleva sfruttarla come meglio poteva. Chiuse gli occhi e sospirò di nuovo. Poi le sue labbra si curvarono in un sorriso involontario. Jo rimase impalato davanti alla bellezza di Judith, l'aveva sempre saputo ch'era meravigliosa, ma lì, stretta nelle sue braccia, con quel viso dai lineamenti angelici quanti maturi, con quel naso sottile e perfetto e quelle labbra. Dio, quelle labbra perfette, rosee che ora erano stupendamente curvate in un sorriso sornione mozzafiato. Di nuovo senza pensare alle conseguenze dei suoi gesti, affondò le mani nei setosi capelli di Judith, attirandola a sé, poggiando le sue labbra su quelle della ragazza. Si pentì immediatamente, si aspettava uno schiaffone da un momento all'altro. Invece no. Judith affondò anch'essa le mani nei capelli del ragazzo, scendendo poi fino al suo collo, allacciandosi ad esso. Ricambiò il bacio con foga, e con passione. Si staccarono solo perché avevano bisogno di riprendere fiato, entrambi. Si guardarono negli occhi per un momento interminabile, poi Judith nascose il viso nel incavo del collo di Jordan, imbarazzata. Lui rise divertito.
"Mi sei mancato Jo" sussurrò lei, stringendosi più forte a lui.
"Anche tu Jud -disse lui annusando i capelli della ragazza, che avevano sempre lo stesso profumo alla vaniglia- anche tu". Si addormentarono così, l'una tra le braccia dell'altro, nella più totale serenità, mentre fuori il temporale imperversava.
Alla fine forse, questa tregua tra di loro sarebbe durata molto più del previsto. Ed entrambi non potevano esserne più felici
.


Okay.
Ciao Ciao.
:D

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